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I NOSTRI PRODOTTI

Pomodori

Il Pomodoro (Solanum lycopersicum) come noi lo conosciamo oggi: i frutti delle prime piante arrivate in Europa, coltivate per lo più in Francia in un clima freddo, rimanevano piccoli e giallognoli, fu il cambio di zona di coltivazione a renderlo rosso, e poi la selezione genetica operata manualmente dai botanici a creare la miriade di varietà (solo quelle italiane ammontano a 320) oggi reperibili.

Il pomodoro è originario del Messico e del Perù ed era apprezzatissimo in patria – dove gli Inca e gli Aztechi lo chiamavano xitomatl (da cui l’inglese tomato), cioè “pianta con frutto globoso, polpa succosa e numerosi semi” e lo consumavano ogni giorno, anche sotto forma di salsa. Il pomodoro giunse in Europa nel 1540 quando il conquistador Hernán Cortés, di ritorno in patria, ne portò alcuni esemplari.

I frutti ispirarono il nome “pomo d’oro”, attribuito dal padre della botanica italiana, Pietro Andrea Mattioli (1501-1577) che introdusse la denominazione mala aurea, in seguito tradotto letteralmente “pomo d’oro”.

In Italia il pomodoro fece la sua comparsa nel 1596, sempre come pianta ornamentale delle dimore del Nord, e un ventennio più tardi raggiunse il Meridione, dove il clima favorevole portò frutti più grandi e di colore arancione-rosso, invoglianti – soprattutto tra i poverissimi contadini – al punto da spingere il popolo a consumarli. E bene fece: crudi o cotti, in salsa o fritti nell’olio, nelle minestre e nelle zuppe, gli Italiani del Sud incominciarono ad assaporare il pomodoro quasi un secolo prima di tutti gli altri Europei!

Uva

La Storia dell’uva e della Vite affonda le sue radici in un tempo molto antico e leggendario.

Di origine asiatica (Cina) la vite si è diffusa lentamente in Europa, già nel mesolitico e nel neolitico la vite selvatica era conosciuta. Anche nell’antico Egitto era diffusa la pratica del vino, dai geroglifici furono trovati descrizioni di tipi di lavorazione dell’uva, poi passò agli Ebrei, gli Arabi e i Greci: questi ultimi addirittura dedicarono al vino una divinità, Dionisio, il Dio della convivialità (Bacco).

In Italia la produzione e lavorazione di uva iniziava dalla Sicilia il suo viaggio verso l’ Europa, diffondendosi prima presso i Sabini e poi presso gli Etruschi, i quali furono abili coltivatori e vinificatori ed allargarono la coltivazione dell’uva dalla Campania sino alla pianura Padana. Presso gli antichi Romani la lavorazione dell’uva in vino assunse notevole importanza solo dopo la conquista della Grecia: l’iniziale distacco si tramutò in grande amore al punto da inserire Bacco nel novero degli Dei e da farsi promotori della diffusione della viticoltura in tutte le province dell’impero.
La nascita del Cristianesimo e il conseguente declino dell’Impero Romano, segnò l’inizio di un periodo buio per l’uva e per il vino, accusato quest’ultimo di portare ebbrezza e piacere effimero; a ciò si aggiunse la diffusione dell’Islamismo nel Mediterraneo, tra l’800 e il 1400 d.C., con la messa al bando della viticoltura in tutti i territori occupati. Per contro furono proprio i monaci di quel periodo, assieme alle comunità ebraiche, a continuare, quasi in maniera clandestina, la viticoltura e la pratica della lavorazione dell’uva per produrre i vini da usare nei riti religiosi. Bisognerà comunque attendere il Rinascimento per ritrovare una letteratura che restituisca al vino il suo ruolo di protagonista della cultura occidentale e che torni a decantarne le qualità.

Mele

Originaria dell’Asia Centrale dove veniva coltivata già nel Neolitico, la mela si è diffusa, attraverso il Medio Oriente, dapprima in Egitto lungo la valle del Nilo e, successivamente, in Grecia. Grazie alle conquiste dell’Impero Romano giunse in Occidente e da qui, in tutta l’Europa continentale.
Nel Medioevo, i contadini e i monaci di tutta Europa producevano numerose qualità di mele, che sarebbero poi state alla base di un’attivissima selezione in epoca Rinascimentale.
Durante l’Età Moderna la coltura del melo si diffuse nel Nord America, in Australia e Nuova Zelanda ad opera dei coloni, con piante importate dall’Europa ma spesso anche con importanti sviluppi locali.

Oggi il melo è l’albero più coltivato nel mondo, non solo per la bontà dei frutti ma anche per la loro facilità di trasporto e conservazione.

Secondo la tradizione biblica fu proprio la mela a far cadere in tentazione Adamo ed Eva dando origine così al peccato originale. È una mela il frutto dell’immortalità che Ercole riesce a conquistare nel giardino delle Esperidi, è sempre una mela il “pomo della discordia” che scatena la guerra di Troia.
Nel corso dei secoli comunque la mela ha perso la sua accezione negativa, passando da simbolo di tentazione e peccato a emblema di amore e fertilità usato anche nell’iconografia cristiana, dove è spesso rappresentata accanto alla Madonna con il Bambino.

Marmellate

Marmellata viene dal portoghese marmelada, “cotogno”, una forma dissimilata del latino melimēla, (“mela dolce”), a sua volta dal greco antico: μελίμηλον, melímēlon («melo innestato nel cotogno»).

Nel corso dei secoli, intorno all’origine della marmellata, numerose sono le storie fiorite. Secondo una delle più note risalirebbe in particolare a Caterina d’Aragona l’invenzione della marmellata d’arance. Una volta sposato il re d’Inghilterra Enrico VIII, pare, infatti, che solo grazie alla dolce creazione la regina spagnola riuscì a superare la terribile nostalgia verso i frutti della sua terra.

Un’altra curiosa leggenda vede protagonista invece la regina Maria de Medici. Dopo il matrimonio con Enrico IV, Maria si trasferì in Francia e le fu diagnosticata una forte carenza di vitamine per cui mandarono alcuni uomini della corte in Italia a recuperare gli agrumi. Per conservare al meglio la frutta, furono, quindi, preparate delle apposite casse contenenti marmellata, che recavano la scritta “per Maria Ammalata”. Di lì alcuni andarono a leggere sulla cassa “poir Maire ammalate”, “por marimalade – marmelade”.

In realtà, sappiamo con certezza che l’origine della marmellata è molto più antica. Già i Greci usavano bollire le mele cotogne insieme al miele, per addensare gli zuccheri contenuti e ricavarne una conserva. Ai tempi di Roma antica, con analoga finalità, la frutta veniva invece immersa in una mistura di vino passito, vino cotto, mosto o miele.

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